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Superminimo: assorbimento e avanzamento di carriera

 Il superminimo è assorbibile nell'eventuale futuro aumento dei minimi tabellari, mentre la progressione economica dovuta al passaggio di livello è espressione di una diversa dinamica salariale, legata a mansioni e anzianità di servizio: l'ha stabilito la Cassazione con ordinanza 5 maggio 2025 n. 11711 di Elena Cannone - Avvocato

Nella fattispecie oggetto dell'ordinanza n. 11711 del 5 maggio 2025 della Corte di Cassazione, un lavoratore adiva l'autorità giudiziaria affinché venisse accertato e dichiarato il suo inquadramento nel II livello di cui al CCNL per le Aziende del Terziario, della Distribuzione e dei Servizi e, per l'effetto, la condanna della società sua datrice di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive.

In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d'Appello territorialmente competente statuiva che le prove esibite confermavano lo svolgimento da parte del lavoratore di compiti operativamente autonomi, con funzioni di coordinamento e di controllo così come previsto dalla declaratoria di cui al CCNL. In questo contesto, la Corte distrettuale respingeva anche l'eccezione della società secondo cui il livello rivendicato poteva essere riconosciuto solo all'Area Manager e previa apposita formazione.

La Corte accoglieva, altresì, l'appello del lavoratore con riferimento al superminimo affermando che “l'espressa pattuizione individuale prevede l'assorbibilità solo in caso di futuri aumenti retributivi previsti dal CCNL o erogazioni ad personam ma non per l'ipotesi dedotta in atti del riconoscimento del livello superiore di inquadramento”.

La Corte d'Appello riconosceva, quindi, l'inquadramento del lavoratore nel II livello di cui al CCNL e, per l'effetto, condannava la società al pagamento delle relative differenze retributive, negando l'assorbimento del superminimo nel miglioramento retributivo conseguente al superiore inquadramento riconosciuto.

La società decideva di ricorre in Cassazione avverso la decisione dei giudici d'appello, a cui resisteva con controricorso il lavoratore che depositava anche memoria.

La decisione

La Suprema Corte, investita della causa, afferma che il superminimo, ovvero l'eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell'assorbimento.

Pertanto, l'emolumento, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore alla qualifica superiore, è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la stessa qualifica, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto. E grava sul lavoratore l'onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l'assorbimento (cfr. Cass. 20167/2018; Cass. 19750/2008; Cass. 12788/2004; Cass. 8498/1999).

Nel caso di specie la Corte d'Appello, richiamando propri precedenti, ha ritenuto che le clausole contenute nella lettera di conferimento del superminimo (sostanzialmente identiche a quelle previste nella lettera di assunzione), nel limitare l'assorbimento del superminimo ai soli aumenti dei minimi tabellari riferiti ad eventuali futuri loro aumenti, avessero escluso l'assorbimento retributivo conseguente all'aumento per il superiore inquadramento professionale.

La Cassazione ritiene che si tratti di una interpretazione rispettosa dei criteri ermeneutici invocati dalla stessa società, avendo i giudici d'appello ritenuto che “la previsione specifica di un'ipotesi di assorbimento significasse esclusione di ogni altra ipotesi”.

In sostanza è stata interpretata in senso restrittivo la previsione secondo la quale il superminimo sarebbe assorbibile solo nell'eventuale futuro aumento dei minimi tabellari introdotto da disposizioni di legge o di CCNL. La progressione economica dovuta al passaggio di livello, invece, non è considerata un mero aumento dei minimi tabellari, bensì espressione di una diversa dinamica salariale, legata all'esercizio delle mansioni e all'anzianità di servizio.

La Corte di Cassazione sottolinea che questa interpretazione è conforme al “criterio finale di conservazione del contratto”. La tesi sostenuta dalla società, invece, renderebbe “pleonastica la speciale regolamentazione stabilita dalle parti, contraddicendo così l'art. 1367 c.c.” Articolo secondo il quale, in caso di dubbio, il contratto o le singole clausole devono essere interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto e non in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

La Corte di Cassazione conclude così per il rigetto del ricorso presentato dalla società, condannandola al pagamento delle spese del giudizio.

a cura di www.fidef.it


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