Flessibilità dell’orario di lavoro
Orario multiperiodale, banca ore, elasticità in entrata e in uscita: in quali casi la collocazione delle ore di lavoro può variare.
L’azienda non è obbligata a prevedere un orario lavorativo fisso, con una determinata ora d’ingresso e d’uscita, ma la collocazione delle ore di attività può variare, sia secondo le esigenze del datore di lavoro, che del lavoratore.
L’azienda, ad esempio, può variare le ore per far fronte a variazioni delle esigenze produttive, adottando l’orario multiperiodale, con più ore di attività in determinati periodi dell’anno (inteso come periodo mobile di 12 mesi, non come arco di tempo tra il 1° gennaio e il 31 dicembre), compensate da un numero minore di ore in altri periodi di bassa produttività.
La flessibilità dell’orario di lavoro può essere anche a favore del dipendente, perché possa beneficiare di una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare: in questo caso parliamo di flessibilità dell’orario in entrata e in uscita.
Alcune aziende utilizzano poi la cosiddetta banca ore, o conto ore: in pratica, il lavoratore che effettua ore di straordinario le accantona in un conto individuale, il conto ore appunto, al quale può attingere per fruire di riposi compensativi, con le modalità stabilite dal Contratto collettivo applicato. Ma procediamo con ordine.
Orario multiperiodale
La possibilità di utilizzare l’orario multiperiodale è prevista dal decreto sull’orario di lavoro [1], ma è disciplinata nei suoi tratti essenziali, non nello specifico.
La disciplina di dettaglio si trova invece nei contratti collettivi, che possono:
stabilire una durata dell’orario settimanale minore rispetto all’orario ordinario (pari, in base al decreto sull’orario di lavoro, a 40 ore settimanali);riferire l’orario normale alla durata media dell’attività lavorativa in un periodo non superiore all’anno.
In altre parole, l’azienda può osservare un orario settimanale superiore o inferiore all’orario lavorativo ordinario, secondo la variazione delle esigenze produttive, purché la media delle ore di lavoro dell’anno (o la media riferita a un periodo inferiore) corrisponda:
all’orario normale di 40 ore settimanali; all’orario ordinario, inferiore, stabilito dal contratto collettivo applicato.
Nelle settimane in cui l’orario è superiore a quello normale, la maggior parte dei contratti prevede che le ore lavorative extra non siano retribuite con la stessa maggioraione prevista per il lavoro straordinario, ma siano recuperate con periodi di riduzione dell’orario di lavoro.
Alcuni contratti prevedono comunque delle maggiorazioni sulla retribuzione delle ore lavorate in più. Inoltre, i contratti collettivi prevedono un limite massimo di ore aggiuntive.
In particolare, i contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali, stipulati da Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative [2]) possono disciplinare i seguenti aspetti del regime di flessibilità dell’orario:limite massimo dell’orario;
retribuzione per le ore aggiuntive e in caso di orario ridotto; procedure necessarie per applicare la flessibilità; contrattazione aziendale sull’organizzazione dell’orario.
In ogni caso, non si possono superare le 48 ore settimanali.
La flessibilità può essere prevista nel contratto individuale di lavoro?
Se il contratto collettivo applicato, di primo o secondo livello, non disciplina l’orario
di lavoro multiperiodale, il regime di flessibilità non può essere introdotto attraverso il contratto individuale di lavoro: l’autonomia contrattuale individuale può difatti intervenire, in quest’ambito, solo sull’orario di lavoro straordinario [2].
Se una giornata in cui è previsto un orario superiore o inferiore a quello normale, a seguito della programmazione multiperiodale, coincide con un periodo di riposo, datore e lavoratore devono spostare un incremento o una riduzione della prestazione equivalente in un’altra data [2].
Nel caso in cui restino ore aggiuntive non recuperate, queste sono considerate lavoro straordinario e devono essere compensate secondo le modalità previste dall’accordo applicato.
Banca ore
Con la banca delle ore, o conto ore, il lavoratore ha la possibilità di accantonare su un conto individuale delle ore di straordinario, nei limiti previsti dalla contrattazione collettiva.
Gli straordinari accantonati nel conto ore possono essere utilizzati fruendo di periodi equivalenti di riposi compensativi, con le modalità stabilite dal contratto collettivo applicato.
L’utilizzo della banca ore è libero per i dipendenti assunti a tempo indeterminato;
per gli assunti a termine, l’accesso al conto ore deve essere consentito dal contratto collettivo applicato.
Se i riposi compensativi accantonati non possono essere fruiti, le ore non recuperate devono essere retribuite come le ore di lavoro straordinario.
Flessibilità individuale
Da non confondere col regime di flessibilità orario multiperiodale, la flessibilità individuale consente al lavoratore di conseguire una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare.
La possibilità di beneficiare della flessibilità individuale, può essere prevista dal contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendale, e può essere articolata in modalità differenti:
• flessibilità in ingresso e/o in uscita;
• flessibilità nella pausa pranzo;
• fasce di compresenza;
• orari individuali di presenza.
Flessibilità in ingresso e in uscita
Con la flessibilità in ingresso e in uscita, il lavoratore dispone di fasce temporali di flessibilità per l’inizio e per il termine dell’attività giornaliera: le fasce orarie sono normalmente pari 15 minuti, a mezz’ora o un’ora.
Ad esempio, se l’orario giornaliero prevede l’ingresso alle 8 e l’uscita alle 14 e la flessibilità individuale è pari a mezz’ora, il dipendente può entrare dalle 7,30 alle 8,30, e uscire dalle 13,30 alle 14,30.
L’eventuale debito orario del lavoratore deve essere compensato entro uno specifico periodo massimo, normalmente pari a un mese.
Flessibilità nella pausa pranzo
La flessibilità in entrata ed in uscita può essere fruita anche per la pausa pranzo, o per l’orario spezzato in genere: in parole semplici, il lavoratore può gestire in autonomia la pausa pranzo, lavorando durante la sospensione giornaliera per la consumazione dei pasti.
Il decreto sull’orario di lavoro, in effetti, non prevede una pausa obbligatoria per i pasti (questa pausa può però essere prevista dal contratto collettivo), ma solo una pausa obbligatoria di 10 minuti, compresa tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, se l’orario lavorativo eccede le 6 ore giornaliere.
Di conseguenza, il contratto collettivo può prevedere che il dipendente sia libero di ridurre il tempo della propria pausa pranzo, recuperando la mancata fruizione dell’interruzione entrando più tardi o uscendo prima, oppure utilizzando la pausa pranzo in un momento alternativo della giornata lavorativa, ad esempio per svolgere commissioni o incombenze familiari.
Fasce di compresenza
Può essere istituito anche un orario di compresenza, cioè delle specifiche fasce orarie in cui i dipendenti sono obbligati ad essere presenti in azienda. Nel rispetto di queste fasce orarie e del monte ore giornaliero, il dipendente può stabilire autonomamente l’orario di ingresso e di uscita.
Gli accordi collettivi, in particolare, possono prevedere una fascia di compresenza obbligatoria solo in una parte della giornata, o più fasce obbligatorie di compresenza.
Orario individuale di presenza
Gli accordi possono anche prevedere un orario individuale di presenza, cioè delle fasce orarie in cui il singolo dipendente, e non la generalità dei lavoratori, sia tenuto ad assicurare la propria presenza in azienda.
Stabilite queste fasce orarie in cui la presenza è garantita, il lavoratore può fruire di una maggiore autonomia di entrata ed uscita nel resto della giornata
note
[1] Dlgs. 66/2003.
[2] Min. Lavoro Circ. 8/2005.